Alassio, Domenica 11 Dicembre 2011.
Il 29 Dicembre 2009 don Luciano è stato arrestato da 11 agenti della polizia, la sua abitazione sottoposta a ore di perquisizioni approfondite con sequestro del materiale informatico, quindi immediatamente carcerato.
Durante i mesi di "sequestro" in due istituti di pena liguri (Chiavari e Sanremo per un totale di 270 giorni) ha subito perquisizioni di ogni tipo, denudamenti, violenze verbali e sputi.
E' stato trattato come un detenuto con pena definitiva (di fatto non esiste in carcere la custodia cautelare ma solo l'espiazione della pena) e al contempo calunniato sistematicamente a livello mediatico.
Le numerose istanze di scarcerazione sono state sempre bocciate, nel frattempo una psicologa e uno psichiatra, su richiesta della Procura, lo hanno sottoposto in carcere a sei incontri per accertare la sua presunta pericolosità sociale.
Terminata la fase carceraria, sono stati rifiutati gli arresti domiciliari nella sua abitazione ad Alassio e il sacerdote è stato collocato per quattro mesi in esilio agli arresti domiciliari in un convento, senza possibilità di avere contatti con persone esterne, nemmeno al telefono.
Attualmente, da oltre dieci mesi, si trova recluso in casa propria. Fino al momento del processo di appello aveva subito più di 400 controlli in casa da parte dei carabinieri, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Ci si dovrebbe domandare cosa c'è a suo carico di fronte ad un trattamento così ostile ed invasivo.
Nulla: totale assenza di prove!
Cosa hanno vagliato gli "inquisitori" della Procura? Riassumiamo in breve sintesi.
Quattro computer sequestrati dalla polizia (due suoi e due della parrocchia) e che sottoposti ai più sofisticati controlli, non hanno presentato la minima traccia di materiale illecito (pornografico, pedopornograficoo di semplice riferimento alla minore), e nemmeno in essi sono stati fisicamente cancellati dei dati (il tuttocertificato dai periti di parte e della Procura giunti alle medesime conclusioni).
Si è quindi proceduto al controllo del materiale sequestrato, con l'analisi di 201 CD, 96 videocassette VHS, telefonino, pennette USB e alcune schede di memoria della macchina fotografica.
Terminata l'attenta analisi di oltre trecento supporti informatici la conclusione dei periti della Procura è sempre stata la stessa:
"Dall'analisi degli oggetti presi in esame si è accertato
che non sono presenti elementi o indizi
che possano ricondurre alla natura dei reati contestati ".
Dal 24 Maggio 2010 al 17 Febbraio 2011 si è svolto il processo di primo grado a Savona durante il quale sono stati ascoltati una decina di bambini (sette dei quali già sentiti in sede di indagine, e tutti hannosempre manifestato il loro affetto per il sacerdote, negando ogni comportamento meno che irreprensibile
da parte sua), alcuni di essi a più riprese (ma non dovevano anche essi essere tutelati come la ragazzina?),
i quali hanno sempre escluso qualsiasi comportamento inappropriato di don Luciano (eppure la ragazzina
che lo accusa ha affermato che lui "prendeva a pugni e calci i bambini dell'oratorio, e che tutte le donne le
picchiava e strizzava loro le tette").
Anzi è emerso esattamente il contrario, cioè una realtà di bambini sereni e contenti del suo operato.
Dalle decine di testimoni chiamati nel tribunale, in un clima ostile e preconcetto, nulla di penalmente perseguibile è emerso. Ma allora su cosa si basa l'accusa? La sentenza di condanna afferma testualmente al capitolo "motivazioni della decisione - punto 2":
" l'ipotesi accusatoria si fonda sostanzialmente
sulle dichiarazioni rese dalla minore".
Si tratta di presunte molestie su di una ragazzina di dodici anni, che è stata sottoposta ad esame psicologico basato su un unico incontro, mentre per il suo ambiente familiare non è stato disposto alcun esame. Della minore non intendiamo parlare perché il rispetto dovuto ai bambini è sacro.
Il racconto inverosimile che tiene "inchiodato" il sacerdote parla di molestie avvenute in tre momenti di un unico pomeriggio a Maggio del 2009: il primo durante il tragitto in moto nelle colline di Alassio per le annuali benedizioni delle famiglie nelle case [don Luciano sarebbe stato sprovvisto di pantaloni ebiancheria intima sotto la veste e così si sarebbe presentato nelle varie abitazioni!), poi in un capanno degli attrezzi di campagna che usava nel tempo libero e infine nella biblioteca situata al primo piano della Casa Parrocchiale di S. Vincenzo Ferreri.
E' stato dimostrato, aldi là di ogni possibile dubbio, che la minore non era presente in occasione delle benedizioni nella zona collinare (c'erano infatti altri bambini) e il capanno descritto con la sua fervida fantasia non solo non corrisponde a quello usato dal sacerdote per custodire gli attrezzi dell'orto, ma nemmeno è stato riconosciuto in sede di incidente probatorio, pur avendo avuto la ragazzina a disposizione un'ampia gamma di fotografie.
Come se ciò non bastasse non è stata concessa alla difesa alcuna domanda alla minore, nemmeno scritta, da porre, tramite il giudice, in sede di incidente probatorio e neppure è stato autorizzato il consulente della difesa ad avere un incontro con lei.
Inoltre, prima dell'incidente probatorio un ausiliario di polizia le ha fatto fare il "ripassino" di quello che doveva dire contro il sacerdote (anche questo comportamento è agli atti).
Infine la minore, nonostante le presunte molestie del mese di Maggio, dopo aver raccontato in famiglia la storia inverosimile, è stata mandata dalla madre per sei mesi in parrocchia a tutte le attività pastorali organizzate da don Luciano, fino a Lunedì 28 Dicembre, il giorno prima dell'arresto. Ad esse ha partecipato sempre con impegno e in modo decisamente assiduo ed entusiasta, come testimoniato ampiamente nel dibattimento.
Con queste basi il collegio giudicante di primo grado ha condannato don Luciano a sette anni e otto mesi carcere più varie pene accessorie: 180.000 Euro di risarcimento alla minore, 10.000 Euro alla madre, spese processuali, interdizione perpetua dai pubblici uffici, dall'insegnamento e dal contatto con minori.
Il 18 Novembre 2011 c'è stato il processo di appello, svoltosi a Genova in un'unica udienza.
L'atteggiamento del collegio è stato ancora una volta chiaramente colpevolista sin dalle prime battute, con una relazione intrisa di inesattezze e parzialità, poi contestate dagli avvocati della difesa.
Essendo stato sostituito all'ultimo istante uno dei tre giudici, è venuto a mancare anche l'importante contributo di chi avrebbe dovuto, secondo il suo dovere, leggere le carte processuali.
Il pubblico ministero inoltre ha fatto un brevissimo intervento, avendo ricevuto, a suo dire, il fascicolo poco prima dell'udienza. Dei motivi della difesa, stesi per più di centocinquanta pagine fìtte, ha avuto il coraggio di dire che li aveva appena "spulciati", chiedendo in queste condizioni di "informazione" la stessa condanna di primo grado.
Infine la camera di consiglio, durata circa cinque ore, ha espresso la conferma del verdetto di colpevolezza nel precedente grado di giustizia.
Il 18 luglio 2012 c’è stato il processo in Cassazione, il vertice della giurisdizione ordinaria, essendo il tribunale di ultima istanza nel sistema giurisdizionale ordinario, svoltosi a Roma. L’ultimo grado di giudizio che non può occuparsi di riesaminare le prove ma solo verificare che la procedura relativa ai gradi precedenti si sia svolta secondo le regole.
Il ricorso precedente presentato dai legali di don Luciano , verteva quindi sugli eclatanti anomali comportamenti dei giudici delle precedenze istanze ed in particolare, come è comunque ben evidenziato dagli atti pubblicati:
“Violazione del diritto di difesa e del diritto al contraddittorio dell’imputato. ( nell’incidente probatorio non è stato possibile per la difesa porre alcuna domanda alla minore, ne direttamente ne tanto meno indirettamente. La giustificazione adottata è stata a dir poco inqualificabile assumendo come motivazione il fatto che le domande dovevano pervenire al giudice in sede di udienza preliminare, udienza che non c’è mai stata perché il processo si è svolto con il rito immediato che non prevede tale udienza. )
Omessa considerazione degli errori delle indagini peritali che erano dirette a dimostrare l’attendibilità o meno della minore.
Omessa risposta ai motivi di appello della difesa che contenevano l’indicazione di elementi probatori che falsificavano in modo decisivo l’ipotesi dell’accusa.”
Questo solo un accenno per il resto rimandiamo agli atti pubblicati
La Cassazione conferma il giudizio dei primi due gradi con motivazioni che ancora evidenziano posizioni aprioristiche e volontà di persecuzione. Riconosce in pratica il potere assoluto del giudice, lasciandogli la facoltà di non permettere il contradditorio e afferma tra le righe che, se la minore mente o sbaglia sul giorno e sul luogo in cui i fatti a capo dell’accusa si sono avverati, non per questo si può mettere in discussione l’avverarsi dei fatti stessi.
Vi rimandiamo comunque sempre agli atti pubblicati, in cui si trova anche il Ricorso al Tribunale Europeo per i diritti dell’uomo presentato in data 8 gennaio 2013 che forse prenderà la giusta posizione su questa drammatica vicenda processuale.
I tre gradi di giudizio cui è stato oggetto don Luciano poco hanno a che fare con il clima di legalità a cui un paese civile e democratico deve ambire e la condanna è frutto di un clima persecutorio nei confronti del sacerdote e forse della stessa Chiesa Cattolica.
Siamo a completa disposizione per ogni informazione riguardo a questa allucinante vicenda di "malagiustizia".
Purtroppo al momento in Italia non esiste alcuna possibilità di difesa da accuse di presunti abusi, anche quando mancano, come nel caso di don Massaferro, riscontri provati, sia oggettivamente che soggettivamente.
Non dobbiamo dimenticare infine che una storia come questa potrebbe capitare a chiunque di noi!
Il comitato a sostegno di don Luciano Massaferro